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" La Madonnina "

San Giovanni Rotondo

Via Novelli 21 - 71013 San Giovanni Rotondo (FG) 0882452337 338.3424615

In questa sezione del nostro riportiamo alcuni lei luoghi da visitare a San Giovanni Rotondo e dintorni.

Il centro storico ospita attualmente circa 4500 abitanti.  Esso ricalca ancora fedelmente l'immagine urbana del primitivo borgo medievale, attestato storicamente in Età normanna attorno all'anno Mille, contenuto da resti di una cinta muraria di Età angioina e raccolto in vie strette e pochi slarghi significativi.

Le case sono di antica e semplice tipologia costruttiva, e le numerose chiese impreziosiscono il centro storico.

Il paese prende il nome dalla forma circolare del battistero altomedievale di San Giovanni, San Giovanni, appunto, Rotondo, sito ad est del centro abitato, da poco restaurato e riaperto alla fruizione. La storia San Giovanni Rotondo è però precedente al Medioevo. Una discreta conoscenza la si ha del sottosuolo del centro abitato del paese. Da una serie di tombe ad inumazione incontrate durante i lavori stradali o nello scavo di cantine nell’abitato, i cui corredi andarono in gran parte dispersi, venne evidenziata in passato la presenza di ceramica geometrica dauna, policroma, databile tra il sesto ed il quarto secolo a.C., e di due grandi e pesanti olle globulari di terracotta biancastra. Le sepolture erano raggruppate intorno al nucleo formato dal vecchio centro urbano: un gruppo ad occidente, alcune ad oriente, poche altre a sud della strada principale. La presenza di un asse viario e commerciale pare affermarsi come una costante fissa nell’evoluzione storica del paese, situato su un rilievo, in posizione strategica per il controllo delle vie della transumanza a breve raggio e dei traffici che numerosi dovevano svolgersi tra il Gargano e il Tavoliere. I primi documenti relativi a San Giovanni Rotondo risalgono all’XI secolo. La prima menzione storica finora conosciuta dell’abitato di San Giovanni Rotondo resta ancora il privilegio concesso nel novembre 1095 da Enrico conte di Monte Sant’Angelo al monastero di San Giovanni in Lamis. Il conte Enrico, dietro richiesta dell’abate Benedetto di San Giovanni in Lamis, confermava al monastero tutte le precedenti concessioni e concedeva nuove terre.

Sviluppatasi durante i secoli successivi, divenne centro economico di rilievo soprattutto nel Trecento, quando, svincolatosi dal controllo feudale del vicino menzionato monastero, venne dotato di mura. Liberi dall’egemonia della vicina e potente abbazia, i cittadini trasformarono la città, estendendo il controllo sul territorio circostante, intensificando le attività economiche, costruendo tutto intorno all’abitato una cinta muraria protetta da diverse torri, simbolo tangibile di una sofferta autonomia, purtroppo non destinata a durare a lungo. Il 27 gennaio 1397, la regina Margherita affermava la promiscuità del territorio di San Giovanni Rotondo e di Monte Sant’Angelo e il diritto per gli abitanti di legnare, acquare e pascere. In questo decreto si fa riferimento al castrum S. Joannis Rotundi. Nel 1464 re Ferdinando donava a Giorgio Castriota Scanderberg, figlio del principe d’Albania, in virtù dei servigi resi alla corona, la signoria di Trani, Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo. Il dominio di questo capitano e, in seguito di un suo nipote, viene ricordato come ‘tirannia albanese’. Questa cessò nel momento in cui Ferdinando I re di Napoli riassegnò il ‘castrum’ al regio demanio; nel 1497 fu dato in signoria al capitano spagnolo Consalvo di Cordova. Al nuovo signore i cittadini di San Giovanni Rotondo chiesero grazie, privilegi, franchigie e la concessione di poter ripristinare la ‘fiera di Sant’Onofrio’. In questa fiera che aveva luogo l’11 giugno, festa di Sant’Onofrio, convenivano i rappresentanti di tutte le principali città di comercio della Puglia e del Gargano per fissare il prezzo ‘alla voce’ dei cerali, valido per tutto il regno. La nobile famiglia dei Cavaniglia comprò nel 1607 il feudo per 25.000 ducati. Attualmente è possibile osservare solo tre torri superstiti della cinta muraria; una cilindrica, ad ovest del centro storico nei pressi di una delle porte d’ingresso al castrum; una quadrangolare ad essa contrapposta sul lato est dell’abitato; poco più a sud di questa sono visibili i resti molto rimaneggiati di un’altra torre che, per le modifiche subite ad opera degli uomini, non ci permettono di avanzare ipotesi che possano andare al di là della mera constatazione della originaria forma quadrangolare. Pertanto siamo in grado di concentrare la nostra attenzione solo su due delle quindici torri di cui parlano gli storici locali e che guarnivano l’insediamento medievale.

La torre cilindrica, fino a qualche anno fa sede del museo comunale di arti e mestieri locali, si presenta sicuramente rimaneggiata nella parte inferiore, laddove è stata addossata una muratura in età successiva. La torre quadrangolare, di proprietà privata e restaurata da poco, mostra per lo più le stesse caratteristiche costruttive. Tentare di datare le torri solo sulla scorta delle caratteristiche tecniche è alquanto difficoltoso. La presenza della torre cilindrica, con il suo andamento a scarpa, coeva molto probabilmente a quella quadrangolare, sembra però indicare una sua realizzazione in un periodo ben successivo alla parentesi sveva nel nostro territorio, mostrando analogie più concrete con la tecnica costruttiva trecentesca reperibile in provincia.

(TESTO A CURA DI MATTEO FIORENTINO)

Dove si trova il Centro Storico di San Giovanni Rotondo ?

Il Museo delle Cere di Padre Pio a San Giovanni Rotondo è stato realizzato nel 2001 dalla Società Museum Project di Firenze in collaborazione con il Comune di San Giovanni Rotondo.
Il Museo è situato nel Centro Storico della città, in Via Pirgiano, nello stesso palazzo dove è vissuto il Cav. Francesco Morcaldi, sindaco di S. Giovanni Rotondo ed amico fraterno di Padre Pio.

I visitatori sono accompagnati da una guida tra i vari locali che rappresentano alcuni tra i momenti salienti della vita di Padre Pio.

Il sito:
"Il Museo delle Cere di Padre Pio è nato con l'intento di narrare al visitatore, attraverso scenografie e sculture in cera, alcuni tra gli episodi più significativi della vita del Santo. Dopo la radicale ristrutturazione di Palazzo Morcaldi, l'edificio che accoglie il museo nel cuore del centro storico, si è proceduto all'approntamento delle dieci scene che del museo costituiscono il nucleo. Queste, dopo un attento studio della vita di Padre Pio, sono state scelte con la consulenza dei Frati Minori Cappuccini di San Giovanni Rotondo e di un'apposita commissione formata da storici ed esponenti del Comune. La visita è suggestiva ed emozionante."

Dove si trova il Museo delle Cere di Padre Pio?

Per informazioni:

Via Pirgiano, 25
71013 - San Giovanni Rotondo (FG)
Tel: +39 331 310 8892

museo cere card

Il giorno dell'inaugurazione della chiesa "grande" di Santa Maria delle Grazie, avvenuta nel 1959, Padre Pio, prevedendo che avrebbe fatto «più chiasso da morto che da vivo», rimproverava i suoi confratelli, dicendo loro:

«Che cosa avete fatto: una scatoletta di fiammiferi?».

renzo pianoIl flusso dei pellegrini, raggiungendo circa sei o sette milioni all'anno, oggi gli dà ragione. La nuova chiesa del pellegrinaggio commissionata alla Renzo Piano Building Workshop, è stata la risposta dei frati alle necessità dei fedeli.

La «Fabbrica della Chiesa», iniziata nel 1994, si è conclusa il 1° luglio 2004 con la dedicazione a "San Pio da Pietrelcina" . E' stato necessario scavare 70.000 metri cubi di roccia.

L'opera si sviluppa su una superficie complessiva di circa 9.200 mq. con una capacità di 7.000 posti a sedere, sulla base di un coefficiente di sicurezza ampliamente cautelativo. Ma nelle grandi occasioni il grande sagrato permetterà a 30.000 fedeli di poter assistere alle cerimonie religiose.

Il progettista Renzo Piano è uno dei più grandi architetti viventi.

Il santuario, unico nel suo genere, ha la forma della conchiglia e darà lustro a San Giovanni Rotondo dal punto di vista artistico. I suoi diciassette arditi e possenti archi, disposti a raggiera, realizzati con blocchi di pietra garganica forte come la fede dell’uomo, costituiscono la struttura portante della struttura secondaria in legno e acciaio che sorregge la volta, e convergono tutti nel punto dov’è l’altare del sacrificio di Cristo che è la pietra angolare che regge il Regno di Dio.

Questa chiesa fu edificata a partire dalla fine del Cinquecento e quasi totalmente rifatta tra Seicento e Settecento.

La chiesa di Sant’Orsola è situata nel centro storico di San Giovanni Rotondo.  L’edificio sacro è il più ricco di arte e di storia della città.

Nasceva come una specie di “Chiesa del Purgatorio”, dal 1638 la chiesa è sede dell’Arciconfraternita dei Morti.

All’esterno, la facciata curvilinea è impreziosita dal portale di breccia e da finestre e nicchie, dove trovano posto due statue in pietra raffiguranti San Francesco d’Assisi e Sant’Antonio da Padova.IMG 1545 L’interno, totalmente rifatto negli anni scorsi, custodisce diverse tele di pregio: di scuola napoletana quella dei Santi Vescovi e quella della Madonna col Bambino, San Gaetano da Thiene e Anime del Purgatorio, entrambe seicentesche. La tela del Purgatorio, posta al centro nel coro, è opera di Nunzio De Nunzi ed è datata 1707. Al Cinquecento risale la tela della Deposizione, di scuola veneta posta a sinistra dell’ingresso. Pregevoli gli apparati lignei, l’organo cinquecentesco, i pulpiti di legno dorato e il coro.

Nel 1938 il pittore milanese Natale Penati realizzò i dipinti del soffitto e dei cornicioni, raffiguranti il Martirio di Sant’Orsola e episodi della vita di Sant’Antonio da Padova.

Dove si trova?

Si compone della vecchia chiesina e della nuova basilica. Tutte e due sono dedicate a Santa Maria delle Grazie.

La vecchia chiesina:

  • 1540: inizio della costruzione.
  • 5 luglio 1676: con grande solennità viene consacrata e dedicata a Santa Maria delle Grazie.

Possiede una graziosa lunetta, che raffigura la Madonna col bambino, San Francesco e San Michele Arcangelo.

Ai lati della porta ci sono due lapidi, infisse dal comune di San Giovanni Rotondo per ricordare due date: i cinquant'anni di sacerdozio di Padre Pio (10 agosto 1910 - 10 agosto 1960) e i suoi cinquant'anni di permanenza a San Giovanni Rotondo (1916 - 1966).

All'interno è da notare l'altare di San Francesco, sul quale Padre Pio ha celebrato la Santa Messa dal 1945 al 1959.

S M GrazieLa nuova basilica:

Opera dell'architetto Giuseppe Gentile di Boiano (Campobasso).

  • 2 luglio 1956: inizio della costruzione.
  • 1 luglio 1959: consacrazione da parte di mons. Paolo Carta, vescovo di Foggia.
  • 2 luglio 1959: il cardinale Federico Tedeschini incorona il quadro di Santa Maria delle Grazie.

È a tre navate; in fondo a quella centrale, sulla parete dell'abride, domina il grandioso mosaico, raffigurante la Madonna delle Grazie, opera del prof. Bedini, eseguito dalla scuola vaticana del mosaico.

Nelle navate laterali, sugli altari sono montati otto mosaici, eseguiti dalla scuola vaticana su disegni del prof. Antonio Achilli e padre Ugolino da Belluno (limitatamente al mosaico della Madonna del Rosario).

Dove si trova il Santuario Santa Maria delle Grazie?

Fu voluta da Padre Pio.

Fin dal 1925 egli sperava di poter dare agli abitanti di S. Giovanni Rotondo una casa di cura per gli ammalati. Raccolse le offerte generose e riuscì a trasformare un ex monastero nel piccolo Ospedale Civile San Francesco con due corsie, un'attrezzatura funzionale e venti posti letto. Nel 1938 un terremoto distrusse l'edificio. Ma l' idea di Padre Pio era quella di erigere una "clinica" vicino al convento.

La sua costruzione cominciò nel maggio 1947, giunsero da tutto il mondo offerte per la creazione della clinica che venne inaugurata il 5 maggio 1956 a cui Padre Pio diede il nome di Casa Sollievo della Sofferenza che rappresenta la testimonianza più eloquente della sua opera. Attualmente la Casa Sollievo della Sofferenza si presenta come una vera e propria città ospedaliera, dai primi venti letti iniziali ora sono quasi milleduecento.

Dove si trova l'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza?

Distante dal centro abitato vi è il Convento dei Cappuccini dove visse ed operò il Frate di Pietrelcina.

Nel convento si trova la cella n. 5 che il Padre occupò al suo arrivo a S. Giovanni Rotondo fino al 1940, anno in cui fu trasferito nella cella numero 1, che Padre Pio occupò fino al 1968. All'interno vi è il letto, il Crocifisso, una cassa per la biancheria, un comodino, una scrivania, due sedie ed uno scaffale pensile con alcuni libri. Non è permessa la visita alla cella perché fa parte della zona coperta dalla clausura. Di fronte vi è poi una piccola cappella con una statua della Vergine inserita in una nicchia, in questa cappella Padre Pio celebrò messa durante il periodo di segregazione dall'11 giugno 1931 al 15 luglio 1933, la messa durava circe tre ore.

  • La costruzione fu iniziata nel 1538, su richiesta ed a spese del popolo e con il consenso dell'arcivescovo sipontino, cardinale Giovanni Maria di Monte S. Sabino, poi Papa Giulio III.
  • Il terreno, comprendente una casetta di campagna ed un pozzo, fu donato da un certo Orazio Antonio Landi.
  • Nel 1540, i frati ne presero possesso, testimoniando Dio con santità di vita e ricevendo in compenso divina assistenza.
  • Il 1 febbraio 1575, vi alloggiò Camillo De Lellis, il quale, dopo una lunga conversazione con padre Angelo, superiore del convento, decise di cambiar vita.
  • 1811: il convento viene chiuso una prima volta.
  • 1818: viene riaperto.
  • 1867: all'inizio dell'anno il convento viene chiuso nuovamente.
  • 1867, 20 ottobre: convento, chiesa, terreno, mobili ed arredi passano al Comune di San Giovanni Rotondo per gli usi contemplati dall'art. 20 della legge eversiva del 7 luglio
  • 1866. Fino al 1908 il convento viene adibito a mendicicomio.
  • 1904: il provinciale Padre Pio da Benevento fa diversi tentativi presso l'amministrazione comunale per riavere il convento.
  • 1909: il provinciale padre Benedetto da San Marco in Lamis riottene il convento e, all'inizio di settembre,i frati ne riprendono il possesso.
  • 1916: 28 luglio, arriva Padre Pio da Pietrelcina. D'ora in poi la storia del convento sarà legata a quella del beato Padre.

Dove si trova il Convento dei Frati Cappuccini?

La presenza di comunità rurali di età romana e tardoantica a ridosso di un’importante direttrice viaria costituisce il contesto nel quale dovette inserirsi, non prima della fine del V secolo, la costruzione dell’edificio di culto cristiano con battistero, sul sito poi occupato dalla “Rotonda di San Giovanni Battista”, da cui sembra discendere anche la denominazione dell’insediamento di San Giovanni Rotondo.

La chiesa di San Giovanni è articolata in due corpi di fabbrica distinti: la Rotonda vera e propria, ossia il battistero altomedievale, e la Navata, una struttura rettangolare successivamente addossata al battistero verosimilmente a partire dall’XII secolo.

Il fabbricato è stato oggetto nel tempo di interpretazioni controverse. Una tradizione locale, non fondata su dati storici ma leggendari, lo riteneva un tempio dedicato a Giano, successivamente trasformato.

Gli scavi archeologici del 2014 hanno definitivamente chiarito la natura del fabbricato, consentendo di mettere totalmente in luce i resti della vasca battesimale, già riconosciuti nel 1998 durante precedenti lavori di consolidamento e poi di nuovo ricoperti. Il suo aspetto originario non è, al momento, ricostruibile, sia a causa di una modifica che le ha fatto assumere una forma semicircolare, sia a causa dello scavo di una tomba tra epoca tardomedievale e moderna.

La scoperta della vasca battesimale paleocristiana (V-VI secolo) riveste notevole importanza sul piano storico-artistico. Quello di San Giovanni rappresenta infatti una delle rare testimonianze di battisteri paleocristiani “autonomi”, ovvero distinti dall’aula cultuale, noti archeologicamente in Italia meridionale (il terzo in Puglia dopo quello di San Giovanni a Canosa e di San Giusto presso Lucera); anche le vasche individuate per via archeologica e materialmente conservate in area pugliese sono numericamente esigue (quella di San Giovanni risulta essere la quinta accertata al momento).

Non sembra, allo stato attuale delle conoscenze, essersi conservata traccia dell’edificio cui il battistero era collegato; i resti di questa fabbrica, oltre che di eventuali altre strutture connesse al complesso, potrebbero essere sepolte nelle immediate adiacenze della rotonda o essere celate, e forse in parte inglobate, dall’imponente chiesa medievale dedicata a Sant’Onofrio che si sviluppa a sud del battistero

Si possono distinguere tre momenti principali nelle vicende della decorazione pittorica, che per secoli ricoprì interamente l’interno della chiesa, presentando ai fedeli immagini di singoli santi e scene tratte dai Vangeli. Le pitture più antiche, purtroppo scarsamente leggibili, risalgono al XIII secolo,mentre nel Trecento si colloca la più importante fase decorativa, che sembra aver coinvolto l’intera costruzione e che evidentemente è da collegare alla ristrutturazione in chiave gotica della navata; al primo Quattrocento risalgono, invece, alcuni pannelli visibili sulla controfacciata e nella Rotonda.

Pur frammentari e lacunosi, gli affreschi riemersi nella chiesa di San Giovanni risultano di grande interesse culturale perché, oltre a testimoniare le antiche vicende dell’edificio, arricchiscono l’orizzonte della pittura medievale della Capitanata fra XIII e XV secolo. Tale produzione, spesso erroneamente ricondotta alla pittura bizantina, si basa sulla giustapposizione di pannelli devozionali, di frequente arricchiti dalla figuretta dell’offerente in preghiera, e singole scene (per lo più l’Annunciazione) che fungono da compendio del ciclo cristologico, come si nota nelle chiese di Santa Maria Maggiore a Monte Sant’Angelo e Santa Maria di Devia, le più famose in Capitanata per la ricchezza del corredo pittorico. La realizzazione è opera di frescanti locali educati a schemi iconografici di ascendenza bizantina, ma tradotti in “lingua” occidentale. In casi più rari si incontrano cicli cristologici o agiografici più articolati: questo aumenta il valore storico-culturale della decorazione pittorica di San Giovanni che presenta due diversi cicli ed emerge, rispetto alle altre chiese affrescate della regione, per la presenza di alcuni temi iconografici desueti.

(Testo a cura del prof. Matteo Fiorentino)

Dove si trova la Chiesetta della Rotonda?

VIDEO:

Di seguito il meraviglioso video realizzato dal Liceo Statae Maria Immacolata di San Giovanni Rotondo  nell'ambito del PON “per la Scuola: Competenze ed ambienti per l’apprendimento” - “ADOTTA LA ROTONDA II” - PON Patrimonio Culturale, Artistico e Paesaggistico “Un cammino per la tutela e lo sviluppo del territorio”

Questa chiese risale al 1300. Nel 1344 il 23 aprile il papa Clemente VI con bolla pontificia concesse ai suoi visitatori particolari indulgenze.

Dal 1500 non fu più sede parrocchiale ma per iniziativa dell'università di San Giovanni Rotondo, ottenne da "Consalvus Ferrande, dux terrae novae" il permesso di celebrare, l'11 giugno la festa del santo da cui prende il nome.

Sull'epigrafe in pietra posta sul portale di ingresso, si legge che è stata edificata per volere di Federico II di Svevia, nell'anno 1231. Originariamente costituita da un impianto tardo romanico, oggi si presenta come un armonioso insieme di elementi caratterizzanti diversi periodi storici. Conserva al suo interno tracce di affreschi medievali, una "Natività" di A. Ciccone e un dipinto raffigurante il "Battesimo di Gesù Cristo" di F. P. Fiorentino. Si venera, in particolare, il culto della Vergine del Monte Carmelo.

Alla metà del XIV secolo va riferita la costruzione o, più verosimilmente, la ristrutturazione in chiave gotica della chiesa di Sant’Onofrio Eremita a San Giovanni Rotondo; l’indirizzo stilistico verso cui si orientano i costruttori deriva dalla coeva architettura religiosa diffusa in Capitanata, su base tardoromanica ma innovata dalla presenza di elementi ormai francamente “gotici” nelle membrature delle volte costolonate a sesto acuto, negli archivolti e negli elementi dei portali: chiesa a navata unica con facciata a “capanna”, ad abside estradossata (anche a Sant’Onofrio, prima del “taglio” dell’abside), a pareti nude e ampie di severa essenzialità, con copertura a tetto ligneo a capriate. La chiesa si presenta ad una sola navata, lunga circa 38 metri per 7 metri di larghezza, e dotata di un portale più semplificato rispetto a quelli più fastosi e “goticizzanti” di chiese coeve. Sul prospetto a timpano viene realizzata una grossa rosa circolare. Nella superficie compresa all’interno della circonferenza della rosa è inserita un’ulteriore rosa di diametro minore.

La "Chiesa Madre" di San Giovanni Rotondo.

Quella che si trova oggi all'inizio di corso regina Margherita è una ricostruzione dell'antica chiesa, di cui ormai non resta traccia. Al posto della chiesa vi era un tempio eretto nel XIII secolo. Veniva detto "chiesa di San Leonardo" perché oltre ad essere dedicata al santo abate, riscuoteva alcune rendite fondiarie dall'omonimo monastero di Siponto.

Nel 1676 tra il Duca Geronimo Cavaniglia e l’arcivescovo sipontino Vincenzo Maria Orsini , futuro papa Benedetto XIII, sorge un’aspra controversia riguardante l’amministrazione della chiesa di San Leonardo Abate. I sangiovannesi si schierano col duca. L’arcivescovo effettua delle visite pastorali e rileva che la popolazione pratica usi e costumi superstiziosi, tra cui quello delle donne zitelle che il martedì in Albis, dopo aver raggiunto a piedi nudi la chiesa di Sant’Egidio, a qualche chilometro dal paese, si calzano dietro l’altare in segno propiziatorio per il matrimonio. Rileva anche le pessime condizioni della chiesa matrice e la ritiene inidonea a svolgere la funzione di tempio di Dio. Pertanto ordina la cessazione di ogni pratica superstiziosa e l’abbattimento della predetta chiesa , con obbligo di riedificarla a spese della collettività. I sangiovannesi ignorano l’interdetto e l’arcivescovo scomunica tutti. In questo frangente si sviluppa un morbo misterioso che attacca i sangiovannesi e provoca circa 500 vittime su una popolazione complessiva di 2690 anime. Si pensa ad un castigo di Dio e vengono avanzate istanze di revoca della scomunica; ma questa viene revocata soltanto dopo la sottomissione personale del duca e di tutti coloro che hanno provocato la disobbedienza della popolazione. Il 26 ottobre 1678 viene posta la prima pietra della nuova chiesa di San Leonardo.

Essa ospita una statua lignea di ottima fattura del santo patrono della Città, risalente certamente ad epoca anteriore al 1676.

Nella chiesa matrice aveva sede la Congregazione di S. Giovanni Battista, della quale si ha memoria del funzionamento fino al 1729. Detta Congregazione era già esistente nel 1678, giacché il Cardinale Orsini impiegò nella costruzione della nuova chiesa gran parte delle sue ricche rendite.

Parimenti aveva sede nella chiesa matrice la Congregazione del SS. Sacramento, istituzione antichissima, con l’altare del Crocefisso, eretto nel 1694: nel 1776 ottenne anche il Regio exequatur.

Dove si trova la Chiesa di San Leonardo?

Il Convento delle Clarisse, ossia Chiesa della Risurrezione fu costruita sul suolo donato dal dottor Pietro Melillo alle Clarisse Cappuccine. Padre Pio spesso si appartava in preghira in questo luogo.

La costruzione iniziò con la benedizione della prima pietra il 23 Settembre 1975 (ricorrenza della morte di San Pio), e venne dedicata l'8 Settembre 1985 (ricorrenza di Santa Maria delle Grazie, festa assai importante a San Giovanni Rotondo).

Dove si trova il Convento delle Clarisse?

La chiesa di Sant’Egidio di Pantano, di cui oggi sono visibili i ruderi, sorge a circa 3 Km a Est di San Giovanni Rotondo, situata ai piedi del Monte Calvo su di un terrazzo naturale sovrastante una vasta distesa, orientata in senso est-ovest, che ospitava un lago di natura alluvionale oggi bonificato, detto Pantano, che dà tuttora la denominazione alla zona.

L’esistenza della chiesa di Sant’Egidio è attestata la prima volta nel 1086, in un atto di donazione del conte normanno Enrico, signore di Monte Sant’Angelo, della chiesa stessa e di altre terre circostanti, comprendenti anche il lago, all’abbazia benedettina della SS. Trinità di Cava de’ Tirreni. All’atto della donazione, i monaci cavensi entrarono in possesso non solo della chiesa, già diroccata o ancora in costruzione, ma anche di numerose terre e del diritto di pesca nel pantano.

La chiesa originariamente era con molta probabilità costituita da un piccolo nucleo che, grazie all’operosità dei monaci, venne ampliato e arricchito di tutte le suppellettili necessarie all’officiatura e alle celebrazioni.

L’abilità dei priori cavensi che si succedettero alla guida della piccola comunità monastica favorì sia l’incremento della patrimonio fondiario, acquistando terreni situati in ogni parte del Gargano, sia l’assistenza e l’ospitalità ai pellegrini e ai viandanti che, percorrendo la ‘Via Francesca’, si recavano nella città di Monte Sant’Angelo in visita al santuario micaelico.

In un documento del luglio del 1113 infatti si fa menzione di un ‘hospitalis Sancti Benedicti’, una struttura di accoglienza che con molta probabilità non esisteva prima dell’arrivo dei monaci cavensi.

Nel corso del XII secolo si costituì nei pressi di questa comunità di monaci un villaggio (detto anche casale) di coloni, su cui l’abate cavense esercitava la sua giurisdizione attraverso un baiulo. La mutata situazione economico-sociale che caratterizzò tutta la regione nel corso del XIII secolo segnò il declino e la repentina scomparsa del villaggio e il trasferimento degli abitanti in località chiuse, infatti nel 1270 il ‘casale di Sant’Egidio’ risulta abbandonato.

La documentazione per ora a nostra disposizione non ci permette di sapere se la presenza monastica sia stata continua o saltuaria nei secoli successivi, certo è che nel corso del Trecento alcuni monaci sono ancora presenti a Sant’Egidio conducendovi una vita quasi eremitica nei locali annessi alla chiesa stessa.

Tuttavia i documenti relativi ai secoli XVII e XVIII fa ritenere che la custodia della chiesa fosse affidata ad un oblato cavense, mentre all’officiatura provvedeva un sacerdote di San Giovanni Rotondo: nel 1613 infatti si celebrava la messa ogni sabato; la chiesa fu frequentata fino all’Ottocento anche dopo la soppressione del 1807, in seguito alla quale i cavensi persero la dipendenza di Sant’Egidio e il territorio fu unito al demanio circostante.

Nei documenti in possesso dell’Abbazia di Cava de’ Tirreni si riscontra un unico riferimento, per quanto riguarda le suppellettili, ad un quadro della Madonna posto sull’altare maggiore della chiesa; nessun riferimento si ha circa la sua costruzione o la sua struttura interna.

A tal proposito risulta utile la documentazione, costituita dalle Visite Pastorali effettuate periodicamente dai vescovi della diocesi di Manfredonia, relativa ai secoli XVII e XVIII.

In esse sono contenute delle descrizioni abbastanza precise circa le condizioni della chiesa, degli altari, e delle suppellettili. Attualmente all’interno della chiesa non sono visibili altari.

Non mancano anche cenni di devozione popolare nell’attestazione nel 1676 di una processione ‘che si fa dalla chiesa matrice a questa chiesa di Sant’Egidio nella terza festa di Pasqua’.

Il portale di ingresso a tutto sesto in pietra calcarea tenera si presenta molto degradato dall’erosione degli agenti atmosferici e a stento si riesce a “decifrarne” la decorazione. Il portale è sormontato all’esterno da una cornice che presenta evidenti segni di spoliazione; essa poteva racchiudere un’epigrafe, magari insieme ad una scultura a basso rilievo. Sopra il portale vi è un semplice rosone circolare in pietra calcarea di cui si è conservata solo la parte inferiore. In prossimità dell’abside, la parete nord è più spessa e rinforzata all’esterno da ben tre contrafforti. L’abside (ad est) è caratterizzata da una semplice monofora romanica alta poco più di un metro e larga circa 40 cm. La parete risulta crollata nel tratto delle ultime due campate (cioè prossime all’abside), nel luogo ove era presente una porta secondaria. Addossati alla parete sud (in corrispondenza delle prime campate) vi sono due contrafforti. La parete risulta crollata anche nei pressi dello spigolo di facciata. Le pareti interne, un tempo affrescate, si presentano ormai prive persino dell’intonaco, lasciando scoperta la muratura, composta in pietra calcarea più o meno tenera. Sono squadrate le pietre utilizzate per gli archi, per gli spigoli dei muri e anche quelle utilizzate per le paraste che un tempo sostenevano le arcate della copertura. Le rimanenti parti della muratura sono composte da pietrame erratico.

Attualmente all’interno della chiesa non sono visibili altari, ma è certo che un tempo ce ne fossero; infatti nel XVII e nel XVIII secolo ne ritroviamo la descrizione di alcuni nelle visite dei vescovi.

(Testo a cura del prof. Matteo Fiorentino)

Dove si trova la Chiesa di Sant'Egidio?

 

Video di Sant'Egidio:

All’interno di una delle torri cilindriche del centro storico è custodito il Museo Arti e Tradizioni Popolari Michele Morcaldi. Il percorso espositivo comprende oggetti della civiltà contadina locale e attrezzi di lavoro che raccontano i mestieri della tradizione.

Situato nel Centro Storico della Città, il Museo dell'arte e delle tradizioni popolari “Michele Capuano” raccoglie le testimonianze sulle tradizioni, arti e mestieri di San Giovanni Rotondo, e offre un quadro incisivo ed efficace delle tradizioni popolari di questa città, costituendo un importante punto di riferimento per la conservazione e la tradizione della memoria storica del territorio.

Il Museo custodisce gli oggetti della cultura e della tradizione locale. Nell’esposizione gli strumenti di lavoro e gli oggetti di uso quotidiano sono collegati in buona parte con la terminologia dialettale, con il proposito di innestare i vari oggetti in un quadro pienamente storico e sociologico della nostra civiltà e della nostra lingua.

Il Museo propone un viaggio emozionante alla scoperta della vita, lungo diversi percorsi e attraverso le eterogenee suggestioni della vita quotidiana, il variare delle stagioni; dello sviluppo dell'agricoltura; dello sviluppo dell'allevamento del bestiame e il fenomeno della transumanza e degli antichi mestieri.

L’organizzazione espositiva si sviluppa in sezioni essenziali ed interessa il più ampio spazio della storia e delle attività dell'uomo.

Una prima sezione riflette la vita e la cultura della città. Pertanto sono interessati i temi più importanti: la casa (gli oggetti della camera da letto, gli oggetti e l'architettura della cucina), le tradizioni (oggetti religiosi, giochi e arti casalinghe).

Una seconda sezione comprende gli oggetti che riguardano le arti e i mestieri (gli arnesi delle categorie più varie: il fornaio, il calzolaio, il sarto, il falegname, il muratore, il fabbro, il maniscalco, il carrettiere, il carradore, il bottaio, l'acconciapiatti, l'arrotino, lo stacciaio, l'ombrellaio, ecc.).

Una terza sezione comprende gli oggetti che riguardano la vita e la cultura della terra. Pertanto si ha la possibilità di avere un'informazione completa della vita che si svolge negli ambienti che caratterizzano tutta l'area garganica: la grotta, il pagliaio, la "torre", la masseria.

(Dal sito www.museocapuano.it)

Dove si trova il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari?

Nel centro di San Giovanni Rotondo troviamo il monumento in bronzo dedicato a Padre Pio.

Il monumento è situato in Piazza Padre Pio. La piazza, precedentemente, si chiamava "Piazza degli Olmi".

Fu l'ultimo monumento eretto da Pericle Fazzini prima della sua morte.

La Piazza è stata inaugurata il 28 luglio 1987 (il 71° anniversario dell'arrivo di Padre Pio a San Giovanni Rotondo).

La piazza, invece, è stata disegnata dall’architetto Eugenio Abruzzini.


Pericle Fazzini nasce a Grottammare (AP), il 4 maggio 1913 da Vittorio e Maria. Giovanissimo, inizia a lavorare nella falegnameria di famiglia, accanto ai numerosi fratelli, apprendendo a intagliare il legno e dedicandosi alla scultura nei momenti liberi. Intorno al 1929 il poeta Mario Rivosecchi, compaesano di Pericle e amico di famiglia, convince il padre a assecondarne il precoce talento, inviandolo a studiare a Roma. Gli anni tra il 1935 il 1938 sono piuttosto difficili. Con il denaro del premio vinto alla quadriennale lo scultore prende in affitto lo studio di via Margutta dove lavora per il resto della sua vita. Si isola dall’ambiente artistico romano, realizzando in solitudine alcuni dei suoi massimi capolavori, come il Ritratto di Ungaretti. Nel giugno 1940 sposa Anita Buy, la scrittrice a cui era da tempo legato, poco dopo parte per il servizio militare. Congedato il 18 settembre del 1943 fa ritorno a Roma., dedicandosi ad una importante scultura appena iniziata allo scoppio della guerra: il Ragazzo con i gabbiani. Pensando a sculture come questa Ungaretti definì Fazzini "lo scultore del vento". Nel 1952 tiene una personale alla Alexander Jolas Gallery di New York, inaugurando un periodo di attività in campo internazionale. Nel 1954 partecipa alla Biennale di Venezia con una personale che gli vale il primo premio per la scultura. L’anno dopo ottiene la cattedra di scultura all’Accademia di Firenze: vi insegnerà per quattro anni, pur continuando a risiedere a Roma. 

Successivamente insegnerà nell’Accademia di Belle Arti di Roma (1958-1980). Del 1964-65 il bozzetto per un mai realizzato Monumento a Kennedy: doveva essere una grande stele (30 metri di altezza) con tagli e fenditure nel senso della lunghezza che scoprivano, in controluce, il profilo di Kennedy (una prova in dimensione ridotte, successivamente intitolata Metamorfosi e fusa in bronzo, venne donata anni più tardi alla sua città natale Grottammare). Nel 1970 inizia l’avventura della Resurrezione, la grande scultura per la Sala delle Udienze in Vaticano, che per la sua portata storica può essere considerata come il punto di approdo di tutta la sua ricerca. La genesi della scultura è piuttosto lunga: i primi contatti con il Vaticano si ebbero nel 1965, ma la decisione finale arriva solo nel 1972, grazie all’intervento personale di Paolo VI. I1 lavoro e la successiva fusione richiesero quasi sette anni, fino all’inaugurazione che avviene il 28 settembre 1977. Cristo emerge da una composizione di elementi naturali, in basso roccia, radici, rami contorti di ulivo, più in alto nuvole e infine un’ampia corona di saette. Durante le ultime fasi di lavorazione (nell’agosto del 1975) l’artista, provato dalla grande fatica, viene colpito da trombosi. La ripresa avviene lentamente e i suoi ultimi anni trascorrono in relativa tranquillità, tra lo studio di via Margutta e la casa costruita a Grottammare presso un bosco di querce secolari. Fazzini si dedica soprattutto ai bronzetti, all’incisione e anche a raccogliere i molti scritti e appunti. Muore a Roma il 4 dicembre 1987. In uno dei suoi ultimi appunti si legge:

"La morte e la vita sono la medesima cosa,
fanno parte dell’infinito mistero in cui gli uomini e i piccoli invisibili insetti hanno lo stesso peso,
in un sempre più misterioso universo che non si logora mai".

Dove si trova Piazza Padre Pio?

Il villaggio preistorico di Monte Castellana – Crocicchia è un insediamento preistorico ancora oggi evidente nel territorio di San Giovanni Rotondo a circa un chilometro a Nord – Nord Ovest dal centro storico. Il villaggio, allungato a forma di ogiva da 852 a 800 m s.l.m., occupa complessivamente una superficie di circa due ettari e mezzo. Il perimetro dell’insediamento è circoscritto da una spessa muraglia di pietrame a secco larga mediamente circa un metro, con a tratti caratteri di accentuato megalitismo. Ancora oggi sono evidenti i resti delle antiche porte di accesso e gli spazi abitativi circondati da muretti a secco come opera di delimitazione delle proprietà nucleari. Dalla raccolta di superficie, effettuata a più riprese negli anni scorsi, sono emersi risultati interessanti per questo che è il più “alto” degli insediamenti preistorici dell’Età del Bronzo nel nostro territorio (solitamente gli altri villaggi di cui abbiamo finora conoscenza non vanno al di là di circa 600 m s.l.m.). I resti di ceramica attinenti alle attività svolte dall’uomo nell’insediamento ci mostrano una popolazione abbastanza numerosa e non povera legata alle attività pastorali che si svolgevano con grande successo in tutto il territorio della Daunia, soprattutto dalla fine dell’Eneolitico (Età del Rame) ad almeno tutta l’Età del Bronzo Medio. Tra i frammenti ceramici numerosi bordi, colletti, orli, anse, pareti di ciotole e di vasi di dimensioni varie (generalmente medio-grandi), in qualche caso legati alla lavorazione del latte. La prima area del villaggio ad essere interessata dalla presenza di gruppi umani è la più alta, cioè quella posta tra m 852 e 839 s.l.m.; ha la forma di triangolo equilatero col vertice verso l’alto. In corrispondenza del vertice del triangolo ma all’esterno e quindi nel punto più alto del villaggio è stata addossata una poderosa struttura delimitata da un muro a secco mediamente largo m 2,80-3,00, di forma rettangolare, dal lato lungo di circa m 16 e il lato corto di circa m 7,50; a giudicare dal pietrame di crollo lungo lo stesso perimetro si deve dedurre che la struttura era relativamente alta. Alla base del triangolo si distende una fascia quasi perfettamente piana, larga mediamente da m 20 a 25, che poteva avere la stessa funzione che i fossati hanno in altri villaggi con opere di difesa. Al di sotto, si notano altre strutture, quasi certamente abitative che fanno parte della seconda espansione del villaggio verso il basso. Nel complesso l’intero villaggio risulta lungo circa m 250 e largo mediamente circa m 90-95. Interessanti alcuni resti di strutture affioranti sul terreno, tra cui una singolare capanna di forma “absidata” sulla cui funzione permangono ancora numerosi dubbi. Qualche indizio ci lascia presupporre una prima frequentazione nella fase di Piano Conte (Eneolitico, ca. 2200 a.C.). La ceramica più diffusa è la “rusticata”. Con l’inaridirsi del clima, con una temperatura media più alta rispetto ai periodi precedenti durante la fase dell’Eneolitico finale e del tardo Bronzo antico, continua il processo di desertificazione del Tavoliere; nel Bronzo medio il Tavoliere viene abbandonato definitivamente. Il probabile regresso della foresta verso le zone alte del Gargano sicuramente avrà agevolato l’insediamento sui rilievi. Il villaggio di Monte Castellana viene frequentato e abitato fino all’Età del Bronzo medio (ca. 1500 a.C.); in seguito, come in quasi tutto il territorio della Daunia, il villaggio si spopola e non verrà più utilizzato dall’uomo.

I teoria su Monte Castellano (Gravina): il villaggio potrebbe essere una struttura “egemone” sul territorio, dalle caratteristiche monumentali e con la possibilità di esercitare una forma di controllo di un’area territoriale con una gerarchizzazione degli insediamenti disposti a piramide, sotto il profilo topografico, e tutti controllabili anche a vista dal villaggio all’apice della piramide, il quale è l’unico, per quanto finora si conosce, ubicato a m 850 di altezza, mentre tutti gli altri sono posti sotto la quota di m 600. L’impossibilità di svolgere in loco attività di commercio e di scambio, non trovandosi l’insediamento su una pista di larga frequentazione, farebbe sì che la comunità di Crocicchia, né povera né poco numerosa, risulti dipendente dagli altri gruppi distribuiti tra il primo gradone del Gargano e il Candelaro per l’approvvigionamento sia dell’acqua, sia degli altri mezzi essenziali alla sussistenza. Anche la costruzione del villaggio con le sue caratteristiche di megalitismo significava molte braccia sottratte al lavoro per volontà di un gruppo “dominante”.

II teoria (Fiorentino): Proprio il cambiamento climatico che si verifica tra la fine dell’Eneolitico e nei primi dell’Età del Bronzo, con punte poi più alte nel Bronzo Medio, sarebbe l’artefice dell’insediamento “montano” di Monte Castellana da parte del medesimo gruppo umano che controllava i villaggi sottostanti. La migliore posizione e la probabile persistenza di lembi forestali nella zona cacuminale del monte sarebbe alla base del nascere dell’insediamento, ultimo “baluardo” per le greggi in risalita dalle fasce sottostanti. Con l’aumento dell’aridità nel Bronzo recente si assiste ad uno spopolamento di quasi tutti i villaggi pastorali anche d’altura, compreso quello di Monte Castellana.

(Testo a cura del prof. Matteo Fiorentino)