Fra Daniele, al secolo Michele Natale, nasce a San Giovanni Rotondo l'11 marzo 1919 da Berardino e Angelamaria De Bonis, entrambi coltivatori e pastori. È il quarto di sette figli. La sua infanzia è provata dalle conseguenze disastrose lasciate dalla prima guerra mondiale e dall'eccidio di alcuni sangiovannesi (14 ottobre 1920).

Michelino - come veniva chiamato in famiglia impara subito a leggere e ad interpretare i comportamenti dei genitori, dei familiari, dei contadini e dei pastori: i loro volti segnati dalla povertà e dalla sofferenza restano nella sua mente e nel suo cuore. Michelino è di temperamento brioso, allegro con tutti, ma anche sensibile verso coloro che vivono in ristrettezze economiche ed hanno ancora aperte ferite morali causate dalla guerra. A cinque anni e mezzo Michelino comincia a studiare, ma i suoi studi regolari non vanno oltre la terza elementare, anche se le sue conoscenze del mondo rustico-agreste diventano ricche e profonde. Diviene molto abile nelle attività agro-pastorali. Sin da piccolo aiuta i genitori e i fratelli nei lavori dei campi e dei pascoli. Si rende utile anche economicamente andando come pastorello presso la famiglia Napoletano-Giuliani, soprannominata <>. la cui masseria è a metà strada tra San Giovanni Rotondo e Cagnano Varano.

Qui, unitamente ad un compagno, ammira più volte un enorme uccello bianco che si posa nelle vicinanze e spesso nota anche un fascio di luce luminosa, proveniente da San Giovanni Rotondo, posarsi su di loro. Più tardi fra Daniele spiegherà questi fenomeni come segni della bontà del Signore ed espressioni della protezione di padre Pio che lo seguiva fin da allora. I datori di lavoro, senza figli, trattano il ragazzo con affetto filiale, tanto da soffrirne quando Michelino viene richiamato in paese dai genitori.

II 4 giugno 1933, festa della Pentecoste, il giovinetto si reca alla chiesa del convento «Santa Maria delle Grazie» di San Giovanni Rotondo per partecipare alla santa messa, dare gli auguri al superiore del convento e ricevere da lui la benedizione, prima di entrare nel seminario cappuccino. Lo accompagnano la sorella Felicetta e Antonietta, nipote di padre Anselmo da San Giovanni Rotondo, superiore del convento di Vico del Gargano. In sacrestia la piccola compagnia trova padre Pio, pronto per fare da diacono durante la celebrazione eucaristica. Grande è la sorpresa e la gioia, perché padre Pio da due anni era segregato. Comunque i tre hanno il privilegio di avvicinarlo, baciargli la mano e chiedergli una benedizione particolare per il novello seminarista. In seguito fra Daniele ricorderà sempre che in quella circostanza padre Pio gli mise la mano sulla testa, lo benedisse e gli disse: «Auguri, figlio mio» e dirà che quella fu la prima di una lunga serie di benedizioni e di auguri ricevuti da padre Pio. Due giorni dopo, Michelino entra nel convento di Vico del Gargano per studiare e diventare sacerdote. Ma lo attende un'amara sorpresa: parte dei seminaristi era ormai a San Giovanni Rotondo e parte era a Torà Presenzano (CE). Egli pertanto rimane nel convento di Vico del Gargano come postulante, per nove mesi.

Nel 1934 padre Bernardo d'Alpicella, Superiore Provinciale, lo trasferisce a Foggia nel convento di Sant'Anna per sostituire come sacrista e portinaio un frate neo-professo andato altrove. Allora il convento di Sant'Anna, nel capoluogo Dauno, era anche sede del Superiore Provinciale dei Frati Minori Cappuccini della religiosa Provincia di Sant'Angelo (Foggia). Un giorno, il padre Provinciale vuole verificare la preparazione scolastica di Michelino, il suo grado di intelligenza e le sue attitudini: gli propone come lettura la vita di san Corrado da Parzham santificato proprio in quei giorni, il 20 maggio 1934, da papa Pio XI. Il quindicenne legge il libro tutto di un fiato. Poi si presenta al Superiore Provinciale per essere interrogato. La sua memoria è eccezionale: ricorda alla perfezione il contenuto delle pagine scelte a caso. Padre Bernardo d'Alpicella resta stupito ed ammirato e, appena sa di un posto vacante in seminario, lo invita a prepararsi per partire al più presto. Michelino risponde: «No, Padre, voglio rimanere semplice fratello laico! Sono entrato in convento per farmi santo ed ho appreso dalla vita di san Corrado che non è affatto necessario diventare sacerdote per arrivare ad essere santo». Il Padre Provinciale cerca di convincerlo con varie argomentazioni, ma lui è irremovibile nella scelta perché «basta essere un bravo fratello laico per santificarsi».

II 25 marzo 1935, Michelino va a Morcone (BN) per la formazione religiosa e il noviziato e prende il nome di fra Daniele. Il 2 aprile dell'anno dopo si consacra al Signore con i voti temporanei e il 12 maggio 1940 emette la professione perpetua.

Durante la seconda guerra mondiale e nei primi anni del dopo-guerra fra Daniele fa il questuante-cuoco nel convento di Sant'Anna a Foggia, sempre sede del Superiore Provinciale. Durante i bombardamenti del '43 su Foggia egli non si risparmia nel soccorrere i feriti, seppellire i morti e mettere in salvo paramenti e oggetti sacri del convento. Dopo l'armistizio, si prodiga anche nell'aiuto ai soldati «sbandati». In questo periodo fra Daniele diventa assiduo frequentatore e benefattore di Genoveffa De Troia, dalla quale impara a pregare, soffrire ed offrire. Ed esulta in Dio quando diversi anni dopo la Chiesa proclama l'eroicità delle virtù di Genoveffa, sua amica, maestra e sorella in San Francesco.

Nel 1952, a fra Daniele, viene diagnosticato un tumore alla milza e si ricovera presso la clinica «Regina Elena» di Roma. L'equipe del prof. Riccardo Moretti della predetta clinica non vuole eseguire l'intervento chirurgico: certo che l'ammalato sarebbe rimasto sotto i ferri; ma una «voce» esorta il prof. Moretti ad intervenire ed anche subito. Ciò che avviene durante l'intervento è oggetto di discussione e di interpretazioni varie. Fra Daniele, per «ubbidienza», non ne parla, ma assicura che alla sua morte uno scritto, custodito in una busta, precisa l'accaduto. Intanto, egli confida al prof. Vittorio Barbone: «Dopo questa esperienza, davanti ai miei occhi non c'è più il velo: tutto è chiaro». Nell'anno successivo, a Roma, fra Daniele vive un evento straordinario riportato nelle pagine che seguono.

In seguito, fra Daniele viene assegnato al convento di San Giovanni Rotondo, per motivi di salute, poi a quello di Vico del Gargano, di Isernia e di Cerignola con le mansioni di cuoco, questuante, portinaio, telefonista e sacrista. Si dedica con amore ai fratelli sacerdoti, chierici, missionari e laici. Tratta con carità e gentilezza tutti quelli che bussano alla porta del convento di sua residenza, ricevendone in cambio simpatia, stima ed amicizia. Padre Pio gli si offre come padre spirituale e, da padre amoroso, gli affida diversi compiti, tra cui quello di messaggero conferenziere ed animatore dei Gruppi di Preghiera. Fra Daniele vive sotto la direzione spirituale e speciale di padre Pio, mette in pratica i suoi suggerimenti, lo imita nella devozione a Gesù Sacramento ed alla Vergine Santissima e lo segue sulla via del dolore e della sofferenza, ricevendo, tramite l'intercessione della Mamma Celeste e del suo padre spirituale, tante grazie e favori celesti per sé e per la gente che si affida alle sue preghiere ed ai suoi sacrifici. Padre Pio spesso lo rassicura: «... dove vai tu, là sto anche io». In effetti, fra Daniele sperimenta ogni giorno la presenza del Santo padre Pio. Anche dopo morto. Per ultimo, fra Daniele, offre la sua vita per il nipote padre Remigio Fiore gravemente malato. A 75 anni di età, il 6 luglio 1994, fra Daniele, per volontà del suo Signore, chiude gli occhi alla luce di questo mondo e li riapre alla luce della beata eternità; lascia il suo corpo tanto provato e sofferente e comincia a vivere col suo spirito la visione beatifica di Dio-Amore. La tomba nella cappella di famiglia del cimitero di San Giovanni Rotondo, nella quale ora fra Daniele riposa, è meta continua di pellegrini che col passare del tempo diventano sempre più numerosi.

Verso la Beatificazione di Fra Daniele Natale

Fra Daniele è il quarto figlio spirituale di Padre Pio su cui si apre il processo di beatificazione e canonizzazione dopo: Giacomo Gaglione, già dichiarato venerabile; madre Maria Crocifissa del Divino Amore (al secolo Maria Gargani), don Olinto Angelo Giuseppe Marella e madre Maria Francesca (al secolo Eleonora Foresti), per i quali è in corso la faseromana della causa; il prof. on. Enrico Medi, la cui Inchiesta diocesana è iniziata nel 1996.

Nel corso dell’inchiesta diocesana per la beatificazione il tribunale ecclesiastico ha interrogato 52 testimoni, di cui 46 indotti (cioè “indicati dal postulatore nel libello di domanda”) e sei ex officio (tra cui i periti in materia storica ed archivistica), mentre la commissione storica ha raccolto gli scritti e gli altri documenti riguardanti la causa di canonizzazione. Gli originali delle trascrizioni delle deposizioni e di tutti gli altri atti costituiscono “l’archetipo”, composto da 2.551 pagine; ciascuna pagina dell’archetipo è stata fotocopiata e autenticata. Le copie conformi, che formano il “transunto”, sono state ulteriormente fotocopiate per realizzare la “copia pubblica”. Durante la sessione di chiusura i plichi dell’archetipo, del transunto e della copia pubblica saranno sigillati: il primo per essere depositato nell’archivio diocesano, le copie per essere consegnate alla Congregazione delle Cause dei santi, dove la documentazione sarà analizzata.

E' terminata, così, la prima fase della Causa di beatificazione e canonizzazione, iniziata il 7 luglio 2012 con l’insediamento e il giuramento dei componenti del Tribunale Ecclesiastico (don Michele Nasuti, delegato episcopale; don Alessandro Rocchetti, promotore di giustizia; don Francesco Armenti, notaio; dott. Luigi Gravina, notaio aggiunto) e dei componenti della Commissione storica, composta da tre periti in materia storica ed archivistica (fr. Cosimo Maria Vicedomini, il dr. Stefano Campanella e la dott.ssa Marianna Iafelice).

Durante la sessione di chiusura i plichi dell’archetipo, del transunto e della copia pubblica saranno sigillati, il primo per essere depositato nell’archivio diocesano, le copie per essere consegnate alla Congregazione delle Cause dei Santi, dove la documentazione sarà analizzata per le valutazioni di merito.

Il 10 ottobre 2015 è avvenuta la traslazione del corpo del Servo di Dio nella chiesa conventuale di Santa Maria delle Grazie, dove è stato tumulato in un loculo appositamente scavato nel pavimento, nell’area dell’ex battistero, divenuta luogo di preghiera e di devozione.

 

Il 10 ottobre 2015 è avvenuta la traslazione del corpo del Servo di Dio nella chiesa conventuale di Santa Maria delle Grazie, dove è stato tumulato in un loculo appositamente scavato nel pavimento, nell’area dell’ex battistero, divenuta luogo di preghiera e di devozione.

Sono un semplice fratello laico cappuccino. Ho svolto la mia vita facendo il lavoro che mi competeva: portinaio, sacrista, questuante, cuciniere. Spesso mi recavo, bisaccia in spalla, a chiedere l'elemosina di porta in porta. Ogni mattino facevo la spesa per il convento.

Mi conoscevano tutti e mi volevano bene. Ogni volta che compravo qualcosa mi facevano degli sconti. Quelle poche lire, anziché consegnarle al superiore, le conservavo per la corrispondenza, per le mie piccole necessità ed anche per aiutare dei militari che bussavano alla porta del convento.

Si era nell'immediato dopo guerra. Io ero a San Giovanni Rotondo, mio paese nativo, nel medesimo convento di Padre Pio. Da un po' di tempo avvertivo dei dolori all'apparato digerente. Mi sottoposi a visita medica ed il medico diagnosticò un male incurabile: tumore.

Con la morte nel cuore andai a raccontare tutto a Padre Pio, il quale, dopo avermi ascoltato, bruscamente mi disse: «Operati!». Rimasi confuso e reagii. Dissi: Padre, non ne vale la pena! Il medico non mi ha dato nessuna speranza. Ormai so di dover morire. «Non importa ciò che ti ha detto il medico: operati, ma a Roma nella tale clinica e dal tale professore». Il Padre mi disse queste cose con tale forza e con tanta sicurezza che io risposi: «Si, Padre, lo farò». Allora lui mi guardò con dolcezza e, commosso, aggiunse: «Non temere, io sarò sempre con te». La mattina dopo ero già in viaggio per Roma. Mentre ero seduto sul treno, avvertii a fianco a me una presenza misteriosa: era Padre Pio che manteneva la promessa di starmi vicino. Quando arrivai a Roma, seppi che la clinica era «Regina Elena»; il professore si chiamava Riccardo Moretti. Verso sera feci il mio ingresso in clinica. Sembrava che tutti mi aspettassero, come se qualcuno avesse annunciato il mio arrivo. Mi accolsero immediatamente. Subito dopo il consulto medico, il direttore sanitario venne a chiedermi il consenso per l'intervento previsto per il giorno dopo. Io apposi la firma richiesta. Alle ore 7.00 del mattino ero già in sala operatoria. Mi prepararono per l'intervento. Nonostante l'anestesia, rimasi sveglio e cosciente: mi raccomandai al Signore con le stesse parole che Lui rivolse al Padre prima di morire: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito». I medici cominciarono l'intervento ed io sentivo tutto ciò che dicevano; soffrivo dolori atroci, ma non mi lamentai, anzi ero contento di sopportare tanto dolore che offrivo a Gesù e mi accorgevo come tutte quelle sofferenze rendevano la mia anima sempre più pura dai miei peccati. Ad un certo punto mi addormentai. Quando ripresi coscienza mi dissero che ero stato tre giorni in coma prima di morire. Mi presentai dinanzi al trono di Dio. Vedevo Dio, ma non come giudice severo, bensì come Padre affettuoso e pieno di amore. Allora capii che il Signore aveva fatto tutto per amor mio, che si era preso cura di me dal primo all'ultimo istante della mia vita, amandomi come se io fossi l'unica creatura esistente su questa terra. Mi resi anche conto però che, non solo non avevo ricambiato questo immenso amor divino, ma l'avevo del tutto trascurato.